Benvenuti in Giappone!
Penso che sia utile raccontarvi qualcosa di me e della mia storia fino ad ora. Mi chiamo Marianna, e sono un’antropologa. Una definzione molto ambizione (e piuttosto incorretta) per dire che l’antropologia è quello che voglio fare da grande. Una definizione più modesta potrebbe essere quella di ricercatrice, e una ancora più onesta quella di fanatica. Fanatica del Giappone, ovviamente.
La mia storia
Il mio amore per il Giappone è iniziato, come per molti della mia generazione, quando ho scoperto per la prima volta anime e manga. Da allora, sono passati circa due decenni, e quelle fantastiche avventure si sono trasformate nella porta d’accesso verso un mondo ricco e incredibile che ho solo potuto amare.
Tutta questa passione aveva bisogno di un sbocco; quindi mi sono iscritta all’università alla ricerca di un corso di studi che mi permettesse di approfondire la mia conoscenza di quel paese delle meraviglie. Il tutto si è espresso in una laurea triennale in Comunicazione interculturale e in una Laurea Specialistica in Scienze delle Religioni.
Nel frattempo, nel 2008 ho visitato il Giappone per la prima volta. La nostra storia d’amore è iniziata li; questo è stato il momento in cui ho sentito che tutto ciò che avevo studiato sul Giappone era solo la superficie della magia che stava tenendo in serbo per me. Ed è stato un trauma, un profondo sentimento di appartenenza e allo stesso tempo una soggiacente sensazione di nostalgia. Quella particolare emozione che si percepisce quando si torna a casa dopo una lunga assenza. Assurdo, vero?
Eppure, tutte quelle emozioni sono rimaste con me, e mi hanno incoraggiato a seguire un percorso fantastico (e confusionario!); quello di un Dottorato di ricerca a Parigi, per continuare a sfamare la mia esigenza di intimità con il Giappone e le sue meraviglie. Il dottorato è stata anche la scusa perfetta per tornare in Giappone, ritorno che è avvenuto nel 2012, e mi ha permesso di rimanere nell’insieme fino al 2014. Un anno e mezzo dopo, ho finalmente ottenuto il dottorato in Antropologia e Religioni, e Studi dell’Estremo Oriente.
Ora, sento che tutte queste esperienza, questi ricordi che custodisco come un tesoro, e tutta la conoscenza che ho accumulato in questi anni, necessitano di essere condivise, di raggiungere altre persone che potrebbero essere alla ricerca di emozioni simili, che potrebbero aver bisogno di sperimentare un incontro con occhi nuovi. è per questo che ho usato il termine – inappropriato – di antropologa, per quanto pretenzioso possa suonare.
Perchè l’antropologia
L’uso della parola antropologa
il vantaggio di dichiarare il senso e la disposizione personale nel momento del viaggio e della ricerca. Non avventuriero, non turista, non reporter. Per me antropologa implica un impegno e un dovere verso la realtà in cui arrivo. Un dovere di onestà nella descrizione, di attenzione nel maneggiare un mondo che per quanto si abbia studiato non si è preparati ad affrontare. È un atto di fede: si arriva sul luogo credendo di sapere tutto il necessario, e in un attimo ci si ritrova privati di ogni certezza. L’antropologo deve mantenere però la fede (termine brutto, ma portate pazienza) che questo spaesamento non servirà ad altro che a fornirgli un accesso e una comprensione più profonda del mondo nel quale si è scaraventato.
Antropologia è anche accettare la solitudine, spesso cercarla e bramarla, ma a volte sopportarla. È sentirsi un pesce fuor d’acqua in un luogo che si credeva di avere in pugno, perché la comprensione non arriva mai solo dai libri, ma passa anche dagli sguardi, dai panorami, dagli odori e dai suoni estranei di una lingua lontana.
Il viaggio che vorrei raccontarvi non è un’avventura, non è un facile turismo. È un viaggio d’amore e fatica. È ora una nostalgia straziante per un luogo che non vedo l’ora di poter vedere di nuovo. È un universo di significati e di visioni lontano e intimo. È la parte più profonda di me, e spero che possa suscitare la curiosità e qualche emozione anche a chi legge.
Increase about me – links and headers