Dal 2011 al 2015 ho studiato e fatto ricerca per il dottorato (in Antropologia delle Religioni e Studi dell’Estremo Oriente); come sviluppo della mia tesi di laurea, ho deciso di continuare la ricerca sullo sciamanesimo giapponese, in particolare lo sciamanesimo delle itako イタコ.
Sciamanesimo femminile
Nel Nord-est dell’arcipelago giapponese esistono ancora alcune esponenti di una particolare forma di sciamanesimo, forse una delle più caratteristiche e discusse; si tratta delle itako イタコ, le sciamane cieche. Queste donne non esauriscono sicuramente il panorama dello sciamanesimo in Giappone, ma rappresentano indubbiamente una tipicità: esse, infatti, sono cieche dalla nascita o raggiungono la cecità nell’infanzia, e l’attività sciamanica è “scelta” come conseguenza di questo impedimento fisico.

Itako performing a ritual – Copyright Edmondo Perrone
Le itako possono essere considerate le ultime eredi di uno sciamanesimo femminile che pone le sue origine nel mito: spesso tuttavia sono state al centro di polemiche da parte di diversi studiosi e specialisti di antropologia religiosa, che hanno messo in discussione l’autenticità della loro esperienza e la possibilià di farla rientrare nel solco dello sciamanesimo.
PER APPROFONDIRE: Cos’è lo sciamanesimo?
In contatto con i morti
Ma di cosa si occupa esattamente la sciamana cieca del Giappone? La loro specialità consiste nella comunicazione preferenziale con quelle categorie di morti che definirò “morti inquieti”; anime esiliate e isolate dalla società degli antenati, che non trovano pace e che rappresentano quindi una minaccia, uno spaventoso pericolo per i vivi. Il compito delle sciamane è quindi quello di pacificarli, di metterli in comunicazione con quelli rimasti da questa parte, perché possano esaudire le loro richieste.

Onryō from the Kinsei-Kaidan-Shimoyonohoshi (近世怪談霜夜星)
Qual è il ruolo dell’itako?
Questa definizione liminale del ruolo delle sciamane cieche solleva inevitabilemnte una prima questione: perché proprio le itako hanno avuto il compito di addentrarsi in questo pericoloso territorio di confine? Perché la loro attività non è praticata con le stesse finalità dagli altri esperti dell’estasi o addirittura dai sacerdoti dei templi ufficiali?
La nozione di impurità
E’ possibile trovare un elemento di risposta a questa questione all’interno di una categoria molto antica appartenente al pensiero religioso giapponese, quella di kegare 穢 れ , impurità. Il concetto di contaminazione, pollution, è centrale in tutti i sistemi di pensiero religioso, e non si esaurisce nell’identificazione di divieti rituali con precauzione sanitarie e igieniche. Nella tradizione shintoista la demarcazione tra puro e impuro è estremamente importante e, come avremo modo di vedere, è alla base della demarcazione di spazi, luoghi, momenti dedicati al sacro e altri dedicati al profano. La morte è una fonte di impurità estremamente forte, tale da richiedere attenzioni e rituali di purificazioni maggiori rispetto ad altre attività.
L’impurità della morte e del morto
E arriviamo quindi a uno dei due poli della questione: la morte è contaminante e impura per sua natura, e il morto, in particolar modo il morto inquieto, è pericoloso perché non solo rappresenta il massimo dell’impurità, ma perché minaccia di portare nuova morte e nuova contaminazione nella società dei vivi: è fuori da ogni classificazione, lascia aperta la comunicazione tra due mondi che non dovrebbero essere così tanto vicini, perché altrimenti le demarcazioni e le separazioni cadrebbero e si tornerebbe al disordine. Il morto va allontanato dalla società dei viventi per poter preservare l’integrità delle barriere tra i due mondi.
L’impurità delle donne
Il secondo aspetto del problema è il seguente: non solo la morte è impura ma, altrettanto importante, la donna è impura. Nell’immaginario giapponese, la donna è contaminante, è la natura allo stato selvaggio, pericolosa, caratterizzata dal disordine e dall’assenza di controllo: non solo le mestruazioni sono elemento di impurità, ma addirittura la gravidanza e il momento della nascita sono fortemente contaminanti, e la donna, colei che per natura è legata alla procreazione, è quindi impura per definizione. Questa visione, presente nei culti locali, è condivisa dal Buddhismo, per il quale non solo le donne non sono in grado di raggiungere l’illuminazione, ma anzi subiranno tutte, dopo la morte, lo stesso destino di tormenti negli inferni, per aver contaminato con il sangue mestruale e della gravidanza il terreno e le acque care agli dei, e avendo in questo modo contaminato anche loro.
La visione della donna come portatrice di fertilità e di vita, a cui siamo abituati, viene qui ribaltata: la donna è l’irruenza delle forze negative nel mondo ordinato maschile, e la fertilità deriva solo dal controllo che l’uomo impone su di essa. Non è un caso che yama-no-kami, la divinità della montagna, sia femminile, mentre ta-no-kami, la divinità della risaia, e degli spazi ordinati e rassicuranti, sia maschile.
Nel momento in cui, il Buddhismo prende il potere sui luoghi di culto, i monaci danno origine al Nyonin Kekkai, sorta di perimetro sacro all’interno del quale le donne, e le sciamane in particolare non possono entrare: questo porta alla situazione per cui i monaci buddhisti, nei templi in cima alle montagne, rappresentano il potere religioso istituzionale (in ultima istanza l’unico riconosciuto), e le sciamane dei culti antichi vanno a rappresentare una seconda fonte di potere, “esterna” per così dire, ed estremamente pericolosa.
Impurità e struttura sociale: ordine e caos
Ecco che allora possiamo provare a dare una risposta alla nostra domanda iniziale: solo l’itako può entrare in contatto con i morti inquieti, perché ne condivide la stessa impurità. Se un uomo entrasse in contatto con questo mondo, ne rimarrebbe invariabilmente contaminato, mentre l’itako, donna e quindi contaminata di natura, non corre ovviamente questo rischio. Le itako inoltre, vivono ai margini delle strutture sociali, la loro attività è tacitamente accettata, e anche ricercata, purché essa si mantenga in una zona grigia fuori dalla pratica ufficiale di culto; fuori casta per nascita data la loro ciecità, lo sono altrettanto in conseguenza al percorso scelto (o imposto). Sono necessarie alla società, perché si fanno carico del peso di attività che nessun altro praticherebbe, ma non sono nella società, ne rimangono sempre ai margini, ai confini tra fuori e dentro, tra vivi e morti.
Possiamo riconoscere questo stesso status nel morto: il morto recente, o il morto inquieto è un essere errante, in bilico tra due luoghi, il mondo dei vivi e quello dei defunti, e tuttavia non appartengono a nessuno dei due. Impossibilitato a tornare indietro, e respinto dal mondo dei vivi, non può o non vuole entrare nella nuova società; presenza con cui la comunità dei viventi è obbligata a fare i conti, solo un essere che condivida la sua stessa natura può avvicinarlo e comunicare con esso.
In ultima analisi, le Itako rappresentano una fonte di potere differente e alternativa a quella istituzionale e dominante, e in quanto tale lo minaccia costantemente. Il loro status diventa quindi ulteriormente ambiguo perchè, spinte ai margini della società per paura che l’ordine venga intaccato, si chiede loro di gestire e arginare un potere violento come quello dei morti inquieti, che altrimenti minerebbe il sistema esistente e porterebbe il caos.
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